Riflessioni sull’obiettivo strategico dello psicologo

di Francesco Ceresia -

Articolo pubblicato il 12 ottobre 2015 sul sito di AltraPsicologia.

Non vi nascondo che ho sempre prestato grande attenzione alle esternazioni dei colleghi sulla strategia che dovremmo adottare per affermare il ruolo professionale dello psicologo.

Tali esternazioni spesso si differenziano unicamente per le sfumature di colore che recintano l’idea forte, l’affermazione centrale e dominante:

Obiettivo strategico dello psicologo è la costruzione del benessere psicologico individuale e collettivo.

Sono certo che numerosissimi colleghi non esiterebbero a sottoscriverla.

Vado subito al punto. Sostengo che tale affermazione, non soltanto non aiuta la nostra comunità professionale, ma addirittura rischia di danneggiarla. E ciò per una ragione molto semplice: tale obiettivo strategico oltre a essere mal posto, è fuorviante e tecnicamente impossibile da raggiungere.

Partiamo dalla considerazione che l’individuo è un soggetto attivo nel processo di costruzione del benessere psicologico. Qualora ritenesse utile avvalersi della collaborazione di un professionista per migliorare il proprio o l’altrui benessere psicologico, è molto probabile che sceglierà chi – a suo insindacabile giudizio – possiede i requisiti professionali più rispondenti alle sue esigenze.

E non è per nulla detto che il prescelto sia – o debba essere – uno psicologo.

Cerco di essere più chiaro.

Se qualcuno mi chiedesse: “quale professionista contribuisce maggiormente a migliorare il tuo benessere psicologico?”, credo risponderei: “dipende dal momento”.

Ad esempio, il consulente che maggiormente contribuisce al mio benessere psicologico nel mese di giugno – ormai con regolarità pluridecennale – è il mio commercialista, grazie al quale riesco a presentare una dichiarazione dei redditi che, pur rispettando tutti gli obblighi di legge, mi mette al riparo dal sopportare costi non dovuti.
Il professionista che probabilmente ha più contribuito in assoluto alla qualità della mia vita – e quindi al mio benessere psicologico – è l’architetto che ha progettato la mia casa, che adoro e nella quale ancora oggi, dopo tanti anni che la abito, non vedo l’ora di ritornare dopo un lungo viaggio o, più semplicemente, dopo una faticosa giornata di lavoro.
In un particolare momento della mia vita, un piccolo intervento sanitario di scarsissimo rilievo realizzato da un bravo specialista, ha disimpegnato la mia mente da un pensiero costante e ossessivo, quindi fastidioso.

È bene che la nostra comunità professionale cominci a riflettere sull’opportunità di continuare ad arroccarsi nella cittadella del benessere psicologico, attribuendosi il ruolo di suo “costruttore” o “architetto”.

Sarebbe opportuno cominciare a familiarizzare con l’idea che qualunque professionista, operando con competenza e serietà, contribuisce in modo apprezzabile al benessere psicologico degli individui, dei gruppi, delle organizzazioni e delle comunità che gli si rivolgono.

È per tali motivazioni che non mi sembra per nulla convincente, meno che mai strategico, l’idea di rappresentare lo psicologo come quel professionista proteso in modo prioritario, se non addirittura esclusivo, alla costruzione del benessere psicologico individuale e collettivo.

Probabilmente potremmo raggiungere risultati ben più soddisfacenti sul piano dell’occupazione e del riconoscimento professionale se definissimo come obiettivo strategico il dimostrare, attraverso evidenze empiriche, che la nostra comunità professionale possiede – questa volta sì in modo esclusivo – una teoria e una tecnica in grado di aiutare i suoi clienti a comprendere attraverso quali complessi meccanismi psicologici gli individui e i gruppi interagiscono tra loro, con gli “oggetti” e con l’ambiente, stimolando in loro cambiamenti anche profondi nella gestione individuale e collettiva di tali meccanismi.

E’ il possesso di una tecnica esclusiva, e la corrispondente abilità nell’esercitarla, che consegna allo psicologo il proprio potere contrattuale nei confronti di un cliente accerchiato – ormai in tutti i settori della psicologia – da competitors sempre più agguerriti e, fa rabbia doverlo riconoscere, sempre meno qualificati.

Lo spostamento di attenzione, nella nostra comunicazione istituzionale, dal concetto di costruzione del benessere psicologico a quello di presidio di una teoria e tecnica psicologica gestita in condizioni di esclusiva è decisivo – a mio avviso – nel percorso d’individuazione di un obiettivo strategico che deve auspicabilmente far breccia anche in chi non è psicologo.

Desidero essere chiaro fino in fondo. Il benessere psicologico non è mai stato territorio esclusivo dello psicologo né mai lo sarà, neanche qualora tale fantasia fosse confortata da un decreto ministeriale. Non è quindi sostenibile pensare di proporlo alla società come obiettivo strategico della nostra comunità professionale.

Cosa assai diversa è invece sostenere che lo psicologo è quel professionista più attrezzato per indagare e – se richiesto – “misurare” il benessere psicologico. Tuttavia, ciò porta il discorso nuovamente sul piano della tecnica psicologica.

Lo schiacciamento della figura dello psicologo sul costrutto di benessere psicologico si è tradotto in una terribile trappola alla quale dobbiamo rapidamente sfuggire. Una trappola che non solo rende impossibile la piena valorizzazione del nostro potenziale creativo e professionale, ma che è anche causa dell’isolamento nel quale, ormai da più di un ventennio, scivoliamo senza sosta.

Chi rappresenta la nostra professione ha la grande responsabilità di definire le linee guida per favorire l’accesso degli psicologi nei settori strategici del Paese, dalla salute alla produzione, dall’innovazione allo sviluppo sostenibile, anche attraverso il disegno di originali modelli di collaborazione con quei professionisti che, operando in settori disciplinari diversi dal nostro, concorrono alla costruzione del benessere psicologico di individui e gruppi.

Il fine ultimo è assicurare un adeguato supporto professionale a chi è impegnato nel sovente tortuoso ma pur sempre libero percorso di conquista del proprio benessere psicologico.